Risulta essere ormai noto come alla pratica di esercizio fisico siano associati cambiamenti positivi dell’umore, dell’idea di sé e dell’autostima, della self efficacy, ma anche l’abbassamento degli indicatori psicologici e fisiologici di stress, come evidenziato dagli studi di Penedo e Dahn.
Inoltre, si verificano reazioni interiori caratterizzate da percezione di positività, gioia, benessere, divertimento, piacere o intensità emotiva. Tali percezioni e reazioni si ritrovano in quei momenti "perfetti" chiamati Peak Moments.
Si tratta di stati caratterizzati da un totale investimento di risorse psico-fisiche dell’individuo nell’azione specifica, ed una conseguente esclusione dal focus attentivo di ogni elemento estraneo alla situazione.
Questo stato non è la semplice conseguenza di una pianificazione o di azioni volontarie, ma è il frutto di una comparsa contemporanea di fattori multidimensionali.
Nello specifico, all'interno dei Peak Moments, il Flow rappresenta la modalità privilegiata per comprendere l'eccellenza della prestazione. Il Flow, concetto introdotto dallo psicologo ungherese Csikszentmihalyi, è un'esperienza estremamente piacevole, durante la quale si perde la cognizione del tempo e tutto ciò che non attiene al compito sembra svanire. Generalmente questa sensazione è facile da ottenere con compiti o attività molto stimolanti. Degli stati esemplificativi possono essere: un'intensa lettura, i momenti di assorbimento durante la pratica di un hobby, o il coinvolgimento in una discussione importante o in un gioco in cui tutti vogliono vincere. Sono momenti di realtà alternativa e unica.
Durante questo stato, la nostra mente è incapace di prestare attenzione agli stati di tristezza, dolore, ma anche la percezione del proprio corpo si modifica, è totalmente presente senza essere guidato. Tutti questi elementi escono fuori dalla consapevolezza. Non c'è un consapevole impegno, è una sensazione spontanea di completa sicurezza e di un paradossale "controllo incontrollato".
Qualsiasi atleta ha sicuramente provato, almeno una volta nella propria carriera, uno stato simile a questo. Quella prestazione "perfetta", in cui tutto accadeva senza sapere come. Era tutto automatico, non c'era pensiero prima dell'azione, e tutto scorreva in maniera eccellente e quasi inaspettata.
Prova a pensare come ti sentivi, come vivevi quei momenti, cosa percepivi in te rispetto alla sfida.
Lo stato di flow, come precedentemente affermato, è determinato da una complessa sinergia di fattori multidimensionali: la percezione di difficoltà del compito, la percezione delle proprie capacità rispetto al compito, la sensazione di essere in grado, estremo livello di concentrazione, totale assorbimento mentale.
Come raggiungere lo stato di flow
Come si può comprendere, il flow è quello stato di equilibrio tra: difficoltà del compito e competenze, abilità, preparazione.
Dunque, per trovare lo stato di flow abbiamo due strade.
Una prima strada ci porta ad aumentare la difficoltà dell’attività a cui ci stiamo dedicando. Quando capiamo che essa è troppo semplice, occorre trasformarla in qualcosa di leggermente più complicato, creando così una sfida.
Al contrario, quando percepiamo che la sfida è posta ad un livello troppo alto, occorre muoversi verso la seconda strada: aggiungere alle competenze che abbiamo, quelle necessarie per sentirci all'altezza. Questo ci permette di passare dall’ansia di non avere le competenze richieste, all’eccitazione positiva che ci generano sfide che percepiamo alla nostra portata.
Durante la propria preparazione, bisogna tenere sempre a mente queste due direzioni. La capacità di adattarsi alla difficoltà del compito, unita allo scostamento continuo delle proprie sfide.
In questo modo risulterà automatica la comparsa di uno stato di flow costante e produttiva.

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